“Siamo esistenze unite nell’umano destino. Attraverso la Tua presenza mi ri-conosco. Io e Te ci approfittiamo. Restiamo abbracciati nell’allegria dell’incontro. Abbiamo unicamente i nostri corpi da offrire. Il mio corpo vissuto, sperimentato, Ti offro, per allietare il momento. Capita che il cuore rimbalzi, é una spinta percepibile nel basso ventre, che sale. Restiamo il tempo così, finché non ci separiamo, dicendoci ciao, arrivederci.”
In questo passaggio ho voluto esprimere il senso dell’incontro, sempre possibile, se lo curiamo, con l’altro; sia questo un paziente oppure un dialogante, alla ricerca di una sintonizzazione. Insieme proviamo a registrarci, ci regoliamo attraverso scambi, negoziazioni. Il discorso qui risulta complesso, al limite dell’inesprimibile ma come in un esercizio continueremo ancora un po’, per aiutarci nel trovare un approdo. Il linguaggio sarà di necessità aperto a più registri, metafore, indispensabili. Come quella dell’approdo. Cercato, sperato.
La guida, la bussola, é, in psicoterapia, come sempre, il fenomeno. Cosa ci sta accadendo? Cosa posso fare io, terapeuta, a te che chiedi? Sono anch’io un viandante, attaccato al respiro che mi àncora, sicuro vicino al porto. Con te mi posso far trasportare dalla corrente, rimaniamo saldi, o almeno ci proviamo. Ma ci basta questo? Posso impiegare una struttura, posso collocararmi da qualche parte, ma poi mi saprai raggiungere mio interlocutore di sofferenza ed emancipazione? Contano sempre di più le domande che superano in numero le risposte. Ti posso raccontare che io talvolta trovo rifugio nella scrittura, é la mia zona, la conosco. Ogni cosa va bene così. Non siamo in errore, non giudichiamoci. Altra parola, il giudizio, che mette i brividi…