Vi sono molti modi, meglio ancora molte condizioni di partenza per iniziare una meditazione e 1000 motivi per farlo, oltre a numerose evidenze scientifiche che ne attestano l’efficacia per alleviare sofferenze di varia origine e natura.
Le pratiche bio-energetiche, come dice la parola stessa, sono degli esercizi, delle esperienze che si pongono l’obiettivo dell’acquietamento ovvero della sospensione o riduzione del lavorìo mentale; i pensieri ci costituiscono, ci rendono ciò che siamo; non sono eliminabili in maniera assoluta; intervengono, intercettano, arrivano, si inseriscono, alle volte si insinuano perfidamente, in maniera subdola, è il caso delle ossessioni; i professionisti della psiche parlano in questo caso di pensieri egodistonici ai quali possono seguire azioni volte a scacciare l’ansia ad essi associata (le cosiddette compulsioni). Per queste problematiche ma anche nel caso di fobie, paure, timori, sentimenti di vuoto, noia o tristezza, la meditazione risulta utilissima.
Come funziona: si parte sempre e comunque dal respiro, cercando di porlo al centro della nostra consapevolezza, del nostro dialogo interiore fino ad averne completa contezza; ogni qualvolta accade che un pensiero subentra e ci distoglie dal respiro, torniamo serenamente al respiro, senza fretta, senza colpe, senza giudizio… Il ruolo centrale, la guida, il perno attorno a cui ruota tutto il processo è e deve rimanere, in una prima fase, il respiro o se preferiamo la gestione della respirazione; pertanto all’inizio, una volta assunta una posizione per noi comoda, sdraiati a pancia in su, seduti su una sedia o mentre camminiamo, partiamo dal porre attenzione al respiro, al come respiriamo, ai movimenti del corpo connessi alle varie fasi di questo processo che per noi è quasi sempre automatico, inconsapevole e quindi iniziamo a porvi la dovuta enfasi, osservandolo, conoscendolo, penetrandolo, senza sforzo, con coraggio e determinazione. Inspirazione, espirazione, inspirazione con il naso ed ancora espirazione; possiamo variare, prima con il naso e poi con la bocca; sentiamo l’aria che entra ed esce dai polmoni, il suono che produce, il calore, l’eventuale pizzichio e le sensazioni a livello del corpo… Continuiamo così, cogliendo quello che ci riserva lo stare in contatto con questa funzione, il nostro scopo è conoscitivo, esperienziale, null’altro… Trascorsi alcuni minuti, iniziamo a spostare la nostra attenzione ai rumori che provengono dall’esterno, ai suoni, ancora e sempre senza giudizio rispetto al grado di piacevolezza, li sentiamo, li cogliamo andando finemente a differenziarli, se possiamo li nominiamo, collegandoli, se vi riusciamo, alla fonte da cui provengono; nella mia mente si forma un’immagine, sto quindi “vedendo” il suono; com’è fatto? E’ ripetitivo? Lontano? Sfuma? Percorre come un’onda? Sale e poi scende? Capita qualcosa di nuovo? Posso rendermi più attento di quanto già non sia?
Ovviamente concentrarsi sui suoni significa approfondire le modalità di funzionamento di questo senso in connessione agli altri nell’unità che li ricompone; l’udito con la vista e l’olfatto, il gusto, percepirsi collocati rispetto ad un ambiente… Il nostro ragionamento rischia qui di diventare troppo complesso, un brivido ci percorre la schiena, saremmo tentati di aggiungere altro ma quello che maggiormente si vuole sottolineare in questa sede è la rilevanza dell’aspetto pratico, il fare; il cammino che si fa strada. Nell’incertezza della meta sappiamo però da dove siamo partiti, dal respiro, e al respiro torneremo al termine dell’esperienza; quando ci assale la vertigine il respiro ci ricentra, ci stabilizza, ci rassicura; terminiamo quindi ogni volta sentendo e vivendo il respiro grazie al quale potremo sempre rilanciare e ripartire in successive occasioni di meditazione.