La mia prima esperienza, il contatto, con questo vegetale avviene una domenica di aprile, a metà mattina; l’aria è fresca, a bordo strada si notano delle ampie chiazze derivanti dallo scioglimento della neve, ancora presente a queste quote. Siamo ancora nell’abitato di Tesero e mi appresto a salire in quota, attorno ai 1600/1700 metri; la località si chiama Pampeago. Il giorno precedente sono stato ad ispezionare il territorio insieme a Gabriele, un guardiaboschi estremamente disponibile e che sto coinvolgendo, come aiuto e consulente, in queste mie uscite allo scoperta delle conifere presenti nelle foreste di Fiemme. Dopo aver preparato una semplice attrezzatura – essenzialmente uno zaino contenente due roncole, una piccola ascia e una “barela” (letteralmente cariola) per il trasporto – carico tutto sul cassone del mio mezzo di trasporto, una vecchia ape car in grado di fare ancora il suo mestiere, con quella velocità di movimento – anche se sarebbe meglio dire lentezza – che mi fa amare questo tipo di guida meditativa. Non porto con me i guanti da lavoro in quanto preferisco avere un contatto diretto con la pianta.
Arrivato in prossimità del crinale, formato perlopiù da abeti rossi con qualche innesto di sporadici larici, mi avvio con la mia “barela” su una strada sterrata, coperta a tratti da neve e ghiaccio in via di scioglimento. In una decina di minuti mi ritrovo al cospetto del cirmolo: si tratta di un esemplare di medie dimensioni che si è spezzato a causa del peso della neve, scesa abbondantemente da queste parti. Nella caduta si è portato dietro anche un abete, con il quale ha costituito un discreto intrico di rami, riversati poco sotto la strada forestale, ma comunque accessibile. Mi dedico, nella pace contemplativa del bosco, alle operazioni necessarie al trasporto delle “dase” (frasche o ramaglie).
Giunto nel mio laboratorio, trascorse all’incirca due ore, ho il tempo per un pranzo veloce. Quindi, inizio la fase di sminuzzamento del vegetale, rigorosamente a mano, con delle piccole cesoie; mi affido nel farlo all’aiuto della mia compagna Fulvia, con la quale il tutto si allieta e allo stesso tempo si velocizza.
Mettere mano al cirmolo è davvero un’esperienza particolare: a differenza di altre conifere si presenta con una profumazione imponente, pervasiva; il legno è tenero, flessibile, gli aghi sono morbidi, quasi setosi; la lavorazione risulta pertanto facilitata. Sembra di comprendere, avendolo vicino, il suo attributo di albero che si sa adattare alle altezze, ai climi freddi ma anche impervi, al vento, alle intemperie.
La distillazione dura 4 ore, al termine della quale ricavo circa 30 ml di olio essenziale e una quantità importante di acqua aromatica che il tempo mi dirà, attraverso successivi approfondimenti, come utilizzare.